Giorgio Valenzin (Pordenone 1901 – Venezia 1978) fu presente dapprima nella realtà artistica del Friuli Venezia Giulia per poi entrare in quella veneziana. Di famiglia di origini ebraiche, trova nella Serenissima la personale dimensione artistica.
Autodidatta, unisce la tecnica post-impressionista con una maggiore rarefazione della luce e una marcatura del binomio cromie e tonalità. Un paesaggio che si stacca dalla tradizione segnica dei pittori a lui coetanei quali per esempio Eugenio Da Venezia e Fioravante Seibezzi.
Il critico Alain Chivilò ha indicato nel Maestro “una figurazione che si vaporizza alla prima visione essendo molto ricca di sentimento: chiari e scuri per paesaggi sfumati ma pieni di forza. Un’evoluzione verso una visione contemporanea”.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale la sua arte si ferma, tanto da essere rinchiuso in un campo di concentramento svizzero. Terminato il conflitto riprende ad esporre da Ginevra, Losanna e Zurigo per approdare a Venezia, Galleria del Cavallino 1949 e Milano, galleria Sherman e Naviglio 1954. Ha esposto ai premi: Colomba 1946, Auronzo e Abano 1947, del Garda 1948, Favaretto 1949. Nel 1952 partecipò alla XXVI Biennale Internazionale d'Arte di Venezia.
Dagli anni Settanta Valenzin idea un ciclo pittorico denominato “pietre”, caratterizzato da una rappresentazione materica dei muri della città di Venezia.
Guido Perocco scrisse: “la pittura per Giorgio Valenzin era per prima cosa uno sfogo, un desiderio di aprirsi con gli altri, dire apertamente quello che covava dentro; ma questo desiderio era continuamente trattenuto da mille pudori e da singolari forme di discrezione, che giungevano fino alla timidezza. Questo apparente contrasto ci riporta intatta l’immagine dell’artista, tra i più pensosi e sensibili che abbiamo avuto occasione di conoscere nella nostra città, nella limpidezza del suo profilo morale e nella sua fede per l’arte e per la poesia”.
Paolo Rizzi scrisse: ".... Venezia in chiave romantica, sottolineandole la sottile magia; il gioco dei chiaroscuri, la luce impalpabile, i silenziosi chiari di luna, il dondolare di una gondola ....”
|